Pagina:Slataper - Il mio carso, 1912.djvu/111

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Ho paura. C’è troppe cose ignote, gravide d’oscurità, intorno a me. Sono veramente in un bosco? Non fui mai qui. Non trovo nulla d’amico. Tocco i tronchi umidi e gommosi — è un frassino, certo, questa scorza liscia come pelle. Non senti? Cade una piova di piccole corolle bianche, come perle minute. Tutto è riposo. Non muoverti. Non disturbare. Eppure qualcosa è sveglio. Scricchiola e crepita leggermente. Che è che anche di notte non dorme? Non fa vento; l’aria pesante era ostacolo all’andare. Sto fermo e ascolto senza respiro.

Chi è nascosto nel bosco? Ma ho il mio coltello qui.

— Chi è?

Nulla. E tremo di questo mio vagabondare notturno, in posti deserti dove solo chi deve nascondersi cerca il suo letto! Come se io meditassi qualcosa contro gli uomini. — No, no! Ecco, vedo la bragia della sigaretta, scende un uomo. Mi passa accosto con cautela, guardandomi di sfuggita. Perchè ha paura? Ma io non gli faccio niente! io sento il suo passo allontanarsi e perdersi.... ora è già nella sua casa accende il lume e guarda i suoi figlioli che dormono.

Io? Neanch’ella dormiva. Anch’ella era sola e dolorosa. Io veglio la sua notte. Io batto i boschi e le macchie come un guardiano notturno in cerca dell’assassino. Io non tollero che la notte nasconda nessun malfattore nella sua ombra nera. Dalla sera all’alba io cammino cercando, e alla mattina mi butto sotto un albero e aspetto fino alla sera. Una volta o l’altra lo devo trovare. Fino allora non ho diritto di dormire la notte. Anch’ella non dormiva.

La notte ella balzava dal letto e spalancando la finestra avrebbe voluto star sola col vento nella sua angoscia. Guar-