Pagina:Slataper - Il mio carso, 1912.djvu/17

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tando nell’acqua con i piedi ci rovesciamo giù a braccia larghe intorno al loro capo. L’acqua aguzza rompe nell’orecchie, negli occhi, nella bocca, nel naso. Il tedesco respira. E sciampf! nella bocca aperta. E sciampf negli occhi brucianti. Nelle sorde orecchie. Sciampf. Sciampf.

Viva il «Dagli!».

Chi resisteva al «Dagli!», amici d’una volta? Chi era capace di stare sott’acqua come Toci, quando il barbuto Calligaricicicich cercava di affogarlo con dieci, venti tocciade consecutive? Ed egli gli respirava in faccia: — cih, cih, cich, — e rispariva. Chi sapeva dar schizzata più tagliente di Vincenzo? Era come una fiatata di mostro marino la mezzaluna di mare che balzava su, sotto le sue mani a cuneo rovesciato. E Steno notava sott’acqua per un minuto, e Pipi era come un piccolo pescecane predace.

E se uno di noi cedeva nella lotta, per sette giorni doveva passare attraverso il fuoco di fila dei compagni. Perchè il «Dagli!» era una società con leggi severe, e nessuno s’arrischiava di disobbedire al nostro capo.

Ora Steno, il nostro capo, è morto. Era un professore che s’è ammazzato, nevrastenico.



E raccontavo belle storie ai piccoli cugini che m’ascoltavano accoccolati d’intorno, nell’ombrosa veranda sul mare. Il mare stava zitto, ascoltando. La casa vicino a lui, dove abitò Tartini, aveva chiuse tutte le persiane e dormiva, bianca nel sole, con gli zii e gli altri villeggianti. Silen—