Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/151

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Prefazione cxxxix

antimeridiane, ora fissata per l’apertura dell’uffizio postale, era già davanti alla finestra di distribuzione. Sonano le nove, le nove e un quarto, le nove e mezzo, e la finestra non s’apre. Finalmente, dopo qualche altro minuto, s’aprì; e il maestro, impazientito, con l’orologio alla mano, dice bruscamente all’impiegato: “Sono le nove e mezzo passate!„ E quello, senza punto scomporsi, gli risponde: “Ringraziamo Dio, chè ci siamo arrivati.„

Un anno che, per la festa di sant’Ignazio, i padri gesuiti addobbarono e illuminarono, secondo il solito, ricchissimamente la famosa cappella del Gesù, nella quale è la statua del Santo d’argento, con sopra il Padreterno di stucco; un pasticcetto co’ li guanti disse a una signora: “Vada, vada al Gesù: c’è la statua di sant’Ignazio d’argento e un altare tanto bello, che lo stesso Padreterno n’è rimasto di stucco.„

Un prete francese, dei tanti piovuti a Roma nel 1867 per il centenario di San Pietro, domandò a un vetturino della stazione quanto volesse per portarlo all’Albergo della Minerva, e il vetturino gli chiese sei paoli. Egli allora, credendo che il paolo corrispondesse a una lira, anzichè a mezza, rispose: “No: io darvi cinque franchi.„ E il vetturino, pronto: “Ebbe, montate: giusto perché séte voi.„

Un Michele Scotto, de’ Mille di Marsala, raccontando in un caffè ad alcuni amici le sue avventure nella campagna di Sicilia, a un certo punto del racconto, disse di aver visto un serpente!... un serpente!... un serpente!...; del quale insomma parendogli di non poter dare una esatta idea con la parola, domandato un lapis, da buon pittore di decorazioni com’era, lo disegnò sul marmo del tavolino. Proseguendo quindi il racconto, disse d’aver visto anche un rospo; e anche per questo ricorse all’aiuto del lapis, poichè non era un rospo comune. Finalmente, continuando ancora, disse che questo rospo straordinario