Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/271

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Prefazione cclix


Peppetto, impietosito, esce a dire:

     Ma invece Dio de mannà er fijo a morte
Pe’ curr’appresso ar menno che scappava,
Perchè, dich’io, non l’ha tenuto forte?
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
     Pe’ me, s’a un fijo je volessi bene,
Io nun potrebbe condannàll’a morte,
E mannàllo a suffrì tutte ste pene,
  (xv e xvi.)

E neppure il curato sa dargli torto.

A queste e altre simili considerazioni morali, che si affacciano alla mente di chiunque legga col lume della ragione il catechismo del Bellarmino, e che l’autore ha saputo presentarci, come richiedeva il suo assunto, in modo affatto popolare, altre ancora se ne aggiungono tutte ridicole, che servono benissimo a variare e rallegrar la materia, per sè stessa alquanto monotona. A tal fine, il nostro poeta ha cavato eccellente partito dalle qualità proprie de’ Romaneschi, e particolarmente da quella tanto spiccata in essi, di ravvicinar bruscamente le cose più disparate, senza punto badare ad alcuna legge di luogo, spazio, tempo o convenienza. Cosi, per esempio, Peppetto, leggendo nella dottrina che Gesù "in cielo era nato di padre senza madre,„ ci resta intontonito, e osserva:

  ’Na donna si... nun è ’na cosa rara

Che facci un fijo senz’avé marito,
Com’è successo lì a la sora Sara
Che jeri a l’improviso ha partorito
  Co’ certi strilli...
D. G.   Bada che te tocca!1
Pèppe. Ma un omo, dico io!
B. G.   Dico, Peppetto,
Famm’or piacere, attùroto la bocca...
  (xiv.)

  1. Bada ohe ne tocchi! Bada che te le do!