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Sonetti del 1831 109


LA RISÌPILA.1

     Ho vvorzùto dà un zompo2 cqui ar Bisscione,3
Pe’ vvede come stava Cudicuggno,4
Che se tiè ’na risipila da ggiuggno,
4Pe’ pportà5 lo stennardo in priscissione.

     Poveraccio! fa ppropio compassione:
Pare ch’ar naso ciàbbi avuto un puggno;
L’occhi nun je se vedeno, e cór gruggno
8Somijja tutto-quanto a un mascherone.

     Beve er tremor de tartero6 in bevanna,
E ’ggni ggiorno je fanno un lavativo
D’acqua de fónghi, capomilla7 e mmanna.

     12Uhm! pe’ mmé, buggiarallo;8 ma si arrivo
A vedello guarito, lo condanna
Er brodo de marvone e ssemprevivo.9

A Strettura, la sera de’ 29 settembre 1831.

  1. La resipella. [La resipola.]
  2. [Ho voluto dare un salto, dare una capatina.]
  3. [Piazza e via del Biscione, presso Campo dei Fiori.]
  4. [Soprannome. Propriamente, ma sempre in tono scherzevole, si chiama così il soprabito, il vestito, ecc.]
  5. [Per portare, per aver portato.]
  6. [Cremor di tartaro.]
  7. [“Camomilla,„ come se derivasse da capo.]
  8. [Accada pure di lui quel che vuole accadere.]
  9. [Un mio amico medico mi assicura esser molto probabile che a quel tempo il malvone e il semprevivo, a cui la tradizione popolare attribuiva mille virtù, fossero anche adoperati, per uso interno, contro le conseguenze della risipola. E poichè d’una cosa pagata poco, per dir che non può esser buona, si dice: la condanna er prezzo; mi pare che il significato di questo passo sia: “ma se pure Cudicuggno riesce a guarirsi, rimarrà però malaticcio e di corta vita, come mostreranno i decotti che dovrà ingollare.„]