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Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/470

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158 Sonetti del 1831

MUZZIO SSCEVOLA ALL’ARA.

     Tra ssei cherubbiggneri e ddu’ patujje,
Co’ le mano dereto manettate,
Muzzio Scevola in tonica da frate
4Annò avanti ar Zoprano de le Trujje.[1]

     Stava Porzenno a ssede in zu le gujje
Che sse vedeno a Arbano inarberate.[2]
“Sora mmaschera, come ve chiamate?„
8Er Re jje disse, “e ccosa sso’ ste bbujje?„[3]

     Disce: “Sagra Maestà, so’ Mmuzzio Sscevola:
Ve volevo ammazzà; ma ppe’ ’n equivico,
11Ho rotto un coppo in cammio d’una tevola.„[4]

     Ditto accusì, pe’ ariscontà er marrone,[5]
Cór un coraggio de sordato scivico[6]
14Se schiaffò la mandritta in ner focone.

Otricoli, 10 ottobre 1831.

  1. Dell’Etruria.
  2. [Le guglie o coni del sepolcro, che il volgo chiama ancora degli Orazi e Curiazi, ma che tutti gli archeologi moderni ritengono invece opera etrusca; e alcuni, per la sua somiglianza col sepolcro di Porsenna a Chiusi come ci è descritto da Plinio, credono che possa essere stato edificato per Arunte, figliuolo dello stesso Porsenna, ucciso presso Aricia in un combattimento contro i Latini.]
  3. Buglia: subbuglio, chiasso.
  4. [Tegola.]
  5. [Per iscontar l’errore.]
  6. [Questa botta andava a colpire la guardia civica clericale, ricostituita in Roma al principio del 1831 sopra un avanzo che già ne esisteva, per opporla a’ moti de’ liberali, e lodata amplissimamente insieme con Imperiale e Reale Esercito Austriaco da Papa Gregorio, nel manifesto del 5 aprile di quell’anno. V. il sonetto: L’armata ecc., 11 ott. 31, e la nota 11 dell’altro: Er civico ecc., 25 apr. 37.]