Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/498

Da Wikisource.
186 Sonetti del 1831

LI COMPRIMENTI A PPRANZO.

     E cche jje pare a llei, sor Zebbastiano?
Lei me fa ggrazzia de servimme lei.
Su, su, accusì:1 già nn’ho pprenduti sei.
Uh! er cucchiaro! e lli pijji co’ le mano.

     Mo vvojjo favorillo io: nun zaprei...
Armanco sto bboccon de parmisciano.
Ah, ah,2 la proscedenza3 va ar più anziano:
Lo sanno cuesto cqua ppuro l’Abbrei.4

     Sibbè cche nun è robba pe’ la quale,5
Puro,6 dico, che sso, in certa maggnèra
Ce poterà scusà si è stato male.

     Vale ppiù cquer piattin de bbona scera,7
Che ttutto sto scialà der carnovale.
Tanto,8 mo mmaggni, eppoi? Cachi stasera.

Roma, 24 ottobre 1831.

  1. Basta, basta così.
  2. In senso di “no,„ coll’a molto prolungata, esprime la negativa assoluta ad un’insistenza attuale.
  3. Precedenza.
  4. Gli Ebrei non istimansi quali uomini a Roma: tantochè, dovendosi parlare d’uomo, si dice un cristiano.
  5. Non conveniente al caso e alla persona.
  6. Purtuttavia.
  7. Il piatto di buona-cera, cioè: “il buon viso nel dare.„
  8. Vale: “poichè ad ogni modo.„