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Pagina:Sonetti romaneschi II.djvu/150

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140 Sonetti del 1832

L’IMMASCIATORE.1

     Ne le carrozze che mmo avémo trovo
Co’ llacchè avanti e sservitori appresso,
C’è er Ministro der Re ch’è annato ar covo2
De cuer paese ch’hanno fatto adesso.3

     Disce4 che jj’abbi detto er Re a un dipresso:
“Conte, vattene a Rroma in Borgo-novo,5
E ddì ar Papa, a mmi’ nome, ggenufresso:
Santo Padre, accusì me l’aritrovo.„6

     Questi so’ ttutti fatti piani piani;
Ma nun s’intenne come un Conte solo
S’ha dda chiamà Cquattordisci Villani!7

     Val a ddì ch’er zor Conte noi Romani,
Ogni cuarvorta che cce va a ffasciolo,8
Lo potémo chiamà Du’ Velletrani.9

Roma, 23 novembre 1832.

  1. Il Ministro del Belgio, che presentò le sue credenziali al Papa il 23 novembre 1832.
  2. Espressione beffarda, che vale “che è andato a occupare„ ecc.
  3. Il nuovo Regno.
  4. Dicono, dicesi.
  5. Il Vaticano, odierna residenza del Pontefice, è in fine di quel Borgo.
  6. Formula che i Romaneschi, al giuoco d’azzardo così detto del marroncino [V. su questo il sonetto del 22 agosto 30], pronunzia nel gettare una moneta, quasi protesta contro gli eventi contrari del suo [sic] giuoco.
  7. Vilain XIV.
  8. Ogni qualvolta ci piaccia.
  9. Il popolo di Roma chiama i cittadini di Velletri: Velletrani, sette volte villani.