Ranocchie? granci teneri?1 sciriòle?2...
So ch’è un penziero d’annàcce a l’inferno,3
Ma me sta in testa a mmé ch’er Padreterno4
Abbi5 dato de vorta a le cariole.6
De cqui nun z’esce: o er Padreterno è mmatto,
O pe’ equarche gran buggera ch’ha in testa,
Nun z’aricorda più come scià7 ffatto.
Nun e’ è antra raggione: o cquella, o cquesta;
O che, ssinnò, pe’ ffà ’na chiusa d’atto,8
Cojje a cchi cojje,9 e bbuggiarà chi resta.
Prendono la mola (macina) per il molino. Anche nell’Umbria s’ode spesso: “Dove se’ jito? — So’ jito a la mola.„
- ↑ Specie di granchi, chiamati cosí, forse perchè sono più teneri di altri.
- ↑ Ciriòla: piccola anguilla.
- ↑ Intendi: “So che questo pensiero che ho io, è tale da andarci all’inferno; ma tuttavia lo dirò.„
- ↑ Variante: Ma in testa me sce sta ch’er Padreterno.
- ↑ Abbia.
- ↑ Dar di volta alle carriole, vale: “impazzire.„
- ↑ Ci ha.
- ↑ Fare una chiusa d’atto significa: “finir qualche cosa in modo straordinario;„ perchè gli atti al teatro finiscono per lo più colla sparata, come i sonetti. Qui poi la metafora calza a puntino, trattandosi della commedia che si chiama mondo. Una variante di questo verso suona cosi: Oppuro, pe’ ddà ffine all’urtim’atto.
- ↑ Coglie chi coglie, cioè: “chi le tocca, son sue; chi more, more.„ Variante: Chi ccojje, cojje.]