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Pagina:Sonetti romaneschi II.djvu/300

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290 Sonetti del 1832

LE LAGGNANZE.

     Già le sapemo tutte le cuarelle[1]
Che smòveno[2] cqua e llà li ggiacubbini:
Ch’er Governo è una torre de Bbabbelle;
Che tutto l’ojjo va ne li lumini;[3]

     Ch’er Zanto Padre è un capo d’assassini;
Che dder popolo suo ne vò la pelle;
Che cquanno l’omo nun ha ppiù cquadrini,
L’arricchisce cór cressce le gabbelle;

     Che cqua ssemo in ner Ghetto de la Rua;[4]
Che li sudditi porteno l’imbasti,[5]
E ’r vino se lo bbevono uno o ddua...

     Che?! Aspetta[6] ar Papa de toccà sti tasti;
Perché ne sa ppiù er matto a ccasa sua,
Ch’er zavio a ccasa d’antri:[7] e cquesto abbasti.

Roma, 26 dicembre 1832.

  1. Querele.
  2. Agitano.
  3. I cappelli triangolari de’ preti, consimili di forma a certe lampadette di terra-cotta, ad uso di luminarie, dette lumini.
  4. Parte e porta del Ghetto, ossia ricinto degli Ebrei, riputati [con quanta giustizia tutti gli onesti lo sanno!] gente avara e frodolenta.
  5. I basti.
  6. Spetta.
  7. Proverbio.