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Pagina:Sonetti romaneschi II.djvu/370

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360 Sonetti del 1833

ER LUPO-MANARO

     ’Na notte diluviosa de ggennaro
A Ggrillo er zediaretto a Ssan Vitale
Tutt’in un botto j’ariprese er male
Dell’omo-bbestia, der lupo-manaro.

     Ar primo sturbo, er povero ssediaro
Lassò la mojje e ccurze1 pe’ le scale,
E ssur portone diventò animale,
E sse n’aggnede2 a urlà ssur monnezzaro.3

     Tra un’ora tornò a ccasa e jje bbussò;
E cquela sscema, senza dì cchi è,
Je tirò er zalissceggne,4 e ’r lupo entrò.

     Che vvòi! appena fu arrivato sù,
Je s’affiarò5 a la vita, e ffor de sé
La sbramò6 ssenza fajje dì Ggesù.7

     15Lui je lo disse:8 “Tu
Bbada de nun uprì, ssi nun te chiamo
Tre vvorte, chè ssi nnò; Rrosa, te sbramo.„

     Cuanno aveva sto ramo9
D’uprì, ppoteva armanco10 a la sicura
20dajje una chiave femmina addrittura.11


Roma, 15 gennaio 1833

  1. Corse.
  2. Andò.
  3. Immondezzaio.
  4. Saliscendo.
  5. S’avventò.
  6. Sbranò.
  7. Senza che ella potesse far parola.
  8. L’avvisò.
  9. Capriccio.
  10. Almeno.
  11. Questo è il rimedio prescritto dalle donne: dare in mano al lupo una chiave femmina. Tutto il sonetto è una fedele esposizione di quanto vuolsi accadere su questo oggetto.