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Pagina:Sonetti romaneschi II.djvu/86

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76 Sonetti del 1832

L’OCCHI SO’ FFATTI PE’ GGUARDÀ.[1]

     Nun ve se pò gguardà, ssor Rugantino,[2]
Sor Covielletto[3] schiccherato a sguazzo?[4]
Che sso, mai ve vienissi in der boccino[5]
De trattamme all’usanza d’un regazzo!

     Se guarda una fascina d’un cudrino,[6]
Un torzo, una merangola,[7] un pupazzo,[8]
E nnun z’ha da guardà sto figurino
Che se po’ ddì zzero via zzero un c....![9]

     Cuanno che nun volete èsse guardato,
Perchè nun state in de la vostra coccia,[10]
Senza roppe le palle ar viscinato?

     Io li par vostri me li ggiuco a bboccia;
E sso’ ffigura, pe’ cquer dio sagrato,
De pisciavve mai mai,[11] puro in zaccoccia.

3 febbraio 1832.

  1. [Proverbio.]
  2. Maschera assai in voga a Roma, il cui carattere consiste nell’insulto e nella timidità.
  3. Coviello, maschera oggimai disusata.
  4. Dipinto, con isbadata precipitazione, a guazzo.
  5. Capo.
  6. Quattrino: 1|5 di un baiocco. Fascina, tre o quattro canne tutte raccolte in tralci secchi di vite.
  7. Melangola. [Torzo: torso, torsolo.]
  8. [Fantoccio.]
  9. Zero via zero, zero: nulla.
  10. Casa. [Ma propriamente coccia (dal lat. coclea) è il “guscio„ della chiocciola.]
  11. [Caso mai.] Se occorre.