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Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/115

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Sonetti del 1833 105


LE STELLE.

     Bbella dimanna!1 “De che sso’2 le stelle?„
Io sciò3 una rabbia, sciò, cche mme sciaccoro.4
Bbasta avé ll’occhi in fronte da vedelle,
Pe’ ppotello capì. Sso’ ttutte d’oro.

     Che tte ne pare? nun è un bèr lavoro
Ch’ha ffatto Ggesucristo, eh Raffaelle?
Mette5 per aria tutto quer tesoro,
Che sse6 move da sé! cche ccose bbelle!

     Questo sì,7 sso’ un po’ ttroppe8 piccinine,
Perché dde tante nun ce n’è mmanc’una
Che nnun pàrino9 occhietti de galline.

     Che jje10 costava a Ddio? poca o ggnisuna
Fatica de crealle, per un dine,11
Granne,12 ar meno che ssii, come la luna.

3 novembre 1833.

  1. Dimanda.
  2. Sono.
  3. Ci ho.
  4. Mi ci accoro.
  5. Mettere.
  6. Si.
  7. [Questo però mi piace poco, non approvo, ecc.]
  8. Troppo. È uso del volgo di accordare la preposizione [questo avverbio] col nome.
  9. Paiano.
  10. Gli.
  11. Per un dire: per modo di esempio.
  12. Grandi.