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Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/206

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196 Sonetti del 1834

TRIST’A CCHI CCASCA.1

     Specchiamose2 in ner povero Marchese,
E imparamo3 chi ssei, monno mazzato.4
Ddà ddà, nnun ce n’ha ppiù. Bbe’, cchi ha sscialato
J’arimprovera mó lle troppe spese.

     E allora avess’inteso5 p’er paese...
Chi, er rifresco era scarzo e sscellerato:
Chi, er palazzo era male ammobbijjato:
Chi, cce voleva ppiù ccannele accese!...

     Quanno dài da maggnà, ddài sempre poco.
Casca in miseria, e ttutti: “Eh nnaturale:
Accusì aveva da finì er ber gioco.„

     Sì, ppovero padrone, hai fatto male
A mmannà6 la tu’ robba a ffiamm’e ffoco
Per chi inzino7 t’inzurta8 a lo spedale.

17 marzo 1834

  1. Tristo chi casca.
  2. Specchiamoci.
  3. Impariamo.
  4. Mondo iniquo.
  5. Avessi tu udito. Il verbo udire è a’ Romaneschi affatto ignoto, e così l’ascoltare. Senti (sentire) esprime sempre la sensazione venuta per gli orecchi. Del verbo intendere poi, servonsi in tutti i tempi e i modi nel suo vero senso; al participio però, inteso, cambia subito significazione, non esprimendo mai che una sinonimia perfetta di sentito per udito.
  6. Mandare.
  7. Sino.
  8. T’insulta.