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Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/243

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Sonetti del 1834 233


L’IMPEGGNI DE LE CARROZZE.

     Eh sor banchiere,[1] e mmo in che ddà[2] sto chiasso?
Poveraccio! ve pijjeno le dojje?
Vienite a llavorà de paste sfojje[3]
Propio in ner zito[4] che cciamànca[5] er passo?

     Ch’ho da sterzà,[6] ll’anima tua?! pe’ cojje[7]
Ne le vetrine[8] e ffà cquarche sconquasso?!
Come ho da passà avanti? indóve passo?
Su la fr....accia sporca de tu’ mojje?

     Da’ addietro tù, ccornuto bbuggiarone:
Tiè cquela frusta a tté, ddico: va’ ppiano:
Vòi sfonnamme[9] la cassa cór timone?

     Nun me fà sscéggne[10] ggiù, lladro ruffiano,
Ché, ppe’ ccristo de ddio, t’arzo un pormone[11]
Da imparatte[12] a ttiené lle bbrijje in mano.

3 aprile 1834.

  1. Termine di spregio contro i cocchieri mal’esperti.
  2. [Cosa significa.]
  3. Lavorare di paste sfoglie, significa: “dare in bravure, in difficoltà.„
  4. Sito.
  5. Ci manca.
  6. Sterzare, voce dell’arte, vale: “dare indietro, dirigendo alquanto il legno alla diagonale, mentre il timone coi cavalli descrivono una linea contraria.„ [È voce usata anche in Toscana.]
  7. Cogliere.
  8. Vetrine. O le bussole delle botteghe, o quelle cassette vetriate dentro le quali si espongono alla vista le merci o manifatture.
  9. Sfondarmi.
  10. Scendere.
  11. [Sottintendi: tale o in modo.] Alzare un polmone, fare un polmoncello: enfiare con percosse una tal parte di corpo.
  12. Impararti, per “insegnarti.„