Vai al contenuto

Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/258

Da Wikisource.
248 Sonetti del 1834


LA SCÈNA1 DE BBARDASSARRE

     Me maravijjo assai de Bbardassarre,
Che vvedenno er manone affumicato
Ciannò a cchiama2 Danielle! un disperato
Che ne sapeva men de Putifarre.

     Fussi stat’io! in du’ parole marre3
Je l’averebbe4 subbito spiegato.
Com’era scritto? Mane Tescer Fiarre?
Ce vvò ttanto? Domani t’essce er fiato.

     Che! ffórzi5 è una bbuscìa? ma ccatterina,6
Me pare ch’er zor re dde Bbabbilonia
Nun arrivassi7 manco a la matina.

     Un profeta ha d’annà ssubbito ar quonia,8
E nnò mméttese9 a ffà ’na sciarlatina,
Che ppo’ ar fin de li conti è una fandonia.10

6 aprile 1834

  1. Cena.
  2. Ci andò a chiamare.
  3. Le parole marre, il parlar marro è il volgare della plebe.
  4. Glielo avrei.
  5. Forse.
  6. Esclamazione. Cattera, catterina! Deriva dal desiderio di dire una sozza parola che principia per ca..., e insieme dalla pudicizia che vuol farla abortire.
  7. Non arrivasse.
  8. Al quoniam: alla conclusione.
  9. Mettersi.
  10. Fanfaluca. [Daniele, infatti, prima di spiegare le misteriose parole, la prese un po' larga, e discorse a Baldassarre del di lui padre Nabuccodonosorre, che “dimorròFonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte con gli asini salvatici e pascolò l'erba come i buoi„, ecc.]