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Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/345

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Sonetti del 1834 335


ER RISPETTO A LI SUPRÏORI.[1]

     Chi mmette sù[2] er padrone? Uno è quer zozzo[3]
Bbrutto vecchio bbavoso cataletto
Der zor mastro-de-stalla: e a llui ggià ho ddetto
Che ttant’ha da finì cch’io me lo strozzo.

     L’antro poi che l’inzórfora,[4] è un pivetto,[5]
C’un mes’addietro j’amancava er tozzo,[6]
E mmo cch’è entrato in scuderia pe’ mmozzo,
Tiè una ruganza[7] da Cacàmme-in-Ghetto.[8]

     E nnu’ lo vò ccapì cch’io so’ ccucchiere,[9]
E cch’ho ppiù età de lui, e cche ppe’ cquesto
Lui m’ha da rispettà ccom’è ddovere.

     Lo soo,[10] ttutta farina[11] der vecchiaccio.
Ma io te ggiuro, da quell’omo onesto
Che mme posso avvantà,[12] cch’io je la faccio.[13]

28 aprile 1834.

  1. Superiori.
  2. Metter su: indisporre l’animo di chicchessia.
  3. Sozzo.
  4. Inzólfa: accende.
  5. Ragazzotto.
  6. Gli mancava il tozzo.
  7. Tiene [ha] una arroganza.
  8. Cacàm o cacan del Ghetto degli Ebrei. [Il Rabbino maggiore: dall’ebraico haham.]
  9. Sono cocchiere.
  10. Lo so. In segno di perfetta persuasione si pronunzia colla o prolungata, quasi fosse doppia.
  11. Tutto maneggio.
  12. Vantare.
  13. Lo uccido.