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Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/443

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Sonetti del 1834 433


LA CAUSA SCESARINI1

     Naturale ch’er Prencipe Turlonia
Ha d’aristà2 affilato e ttasciturno:
Se3 tratta mó cche in ner ziconno turno
La Sagra Rota ha da portallo ar quonia.4

     Dunque machinerà cquarche ffandonia
E cquarc’antro bber trafico nutturno,5
Come li primi imbrojji che cce furno
Pe mmannà la raggione in Babbilonia.

     Vedi quante sentenze e cquanta ggente
Pe abbassà l’arbaggìa a sti bboni mobbili,
Che nun vonno un espurio pe pparente!

     E jje s’hanno d’avé ttanti ariguardi
Quanno, per Cristo, er ceto de li nobbili
È ttutto un spedalone de bbastardi!6

18 novembre 1834

  1. ["Nel 1798, il duca don Francesco Sforza-Cesarini sposò Geltrude Conti,,, la quale si segnalò per facili costumi. Morto il duca, rimasero due figli, Salvatore ed Anna, maritata a don Marino Torlonia, figlio primogenito del principe don Giovanni Torlonia. Il giovane don Salvatore, di appena 30 anni, mori la sera del 19 maggio 1832, senza discendenti. Aperto il suo testamento (fatto ad istigazione della madre), si trovò che aveva istituito erede il primogenito di don Marino Torlonia, don Giulio, padre di don Leopoldo, sindaco attuale di Roma. Alla madre lasciò un vitalizio di scudi seimila annui, poi molti legati; al fratello nulla. Chi era codesto fratello? Era don Lorenzo, giovane di 25 anni, figlio di donna Geltrude, che lo aveva partorito la notte tra il 17 e 18 febbraio 1807 nascostamente, nelle stanze della sua guardaroba, mentre il suo amante Carlo Marchal russo, stava nella stanza innanzi, armato di pistole a due canne, pronto a stender morto chi tentasse di fare offesa alla Duchessa. Il bambino, li per li, non sapendo a chi darlo, fu portato al brefotrofio di S. Spirito, dove venne battezzato col nome di Lorenzo dal canonico Magin commissario del pio luogo. Dopo pochi giorni, il bambino venne ritirato da Luigi Margutti marito di Caterina che lo allevò e lo chiamò Luigi; da ultimo gli fu fatto assumere il nome di Filippo Montani. Sino ai tre anni il Marehal pensò al mantenimento dell’infante, poi egli fu costretto a partire, ed allora lo mantenne la madre, pagando sette scudi mensili; negli ultimi tempi don Salvatore passò al fratello una pensione di dieci scudi mensili, coi quali don Lorenzo doveva vivere, perchè la sua professione di pittore (aveva studiato disegno) non poteva ancora procacciargli la sussistenza. Il fatto era noto a parecchi, fra’ quali al principe di Piombino don Luigi Boncompagni. Questi, dolente che una si pingue eredità finisse in casa Torlonia, già tanto arricchita coi beni della nobiltà romana, pensò di suscitare una causa della quale egli avrebbe fatto le spese. Pertanto affidò le ragioni di don Lorenzo ai valenti avvocati Cavi e Marini, facendo loro reclamare la ricognizione di don Lorenzo in figlio legittimo di donna Geltrude Conti e don Francesco duca Sforza-Cesarini, che nel 1807, epoca della nascita, era vivente e convivente con la moglie. Il Torlonia duca di Bracciano fu difeso dal famoso giureconsulto Armellini, dagli avvocati Di Pietro e Combi, e dai procuratori Balducci e Pagnoncelli. Pur troppo mezzo secolo fa esisteva già il collegio della difesa! Prima a deporre fu la madre contro il proprio figlio, dichiarandosi adultera! Confermarono la. sua deposizione amici, nobili, cavalieri; poi la confermarono tutti i suoi domestici. Ma non basta; a corroborarla volle dimostrare che suo marito il duca don Francesco era anche esso adultero, diviso da lei di letto e in braccio a due sorelle, Laura e Chiara Imperiali, due drude che confej’marono in capite jproprio V accusa della moglie. Non basta ancora; il proprio cognato, Antonio Morelli, confermò quanto asseriva la Duchessa. E il tribunale civile, presieduto da monsignor Monari, sentenziò contro il giovane don Lorenzo, in favore di Torlonia che, si disse allora, e lo ripetè trent’anni dopo monsignor Liverani, comperò a furia d’oro la sentenza del tribunale. Ma il principe di Piombino, uomo della vecchia razza, non si dette per vinto; appellò quindi al supremo tribunale della Rota Romana, presieduto da monsignor Avella. Due prove, che riteneva decisive, produsse Torlonia, o meglio la vecchia donna Geltrude: una deposizione del Marchal, tuttora vivente, e la deposizione giurata del suo confessore Pier Luigi, carmelitano scalzo del convento di S. Maria della Scala, il quale dinanzi a notaio e testimoni rivelò la confessione che la Duchessa gli aveva fatto, nel maggio 1807 (poco dopo la nascita di don Lorenzo), del suo peccato. Ma queste due prove, che dovevano schiacciare il povero don Lorenzo, furono invece la sua salvezza. Il vecchio Marchal, da buon gentiluomo, dichiarò dal fondo delle sue terre in Russia, che egli aveva avuto bensì dimestichezza con la Duchessa, ma nei limiti dell’onestà; che del resto essa era sempre in buona relazione col marito. La rivelazione poi della confessione strappò un grido di riprovazione alla coscienza pubblica, che si rivoltò contro Torlonia, la madre e il frate. La Rota, seguendo l’antico dettato della giurisprudenza romana che dichiara: pater est quem iustae nuptiae demonstrant, sentenziò che don Lorenzo era figlio legittimo di don Francesco Sforza-Cesarini ed erede di suo fratello don Salvatore.„ Silvagni, Op. cit., vol. III, cap. IV.]
  2. Da ristare. [Col viso affilato, cioè "lungo, brutto.„]
  3. Si.
  4. [Al quoniam]: allo sviluppo, agli estremi.
  5. Alludesi alla nefanda opera della viziatura di un libro parrocchiale, onde farvi comparire morto fin da bambino l’odierno pretendente della paterna eredità Sforza-Cesarini.
  6. Vedi Annotazione al verso 14.