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Pagina:Sonetti romaneschi III.djvu/55

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Sonetti del 1833 45

Senato Romano: delle quali, per ordine suo, si compilò anche un prospetto a parte, in cui non si parla punto di quella iniquissima usanza. E perciò, il 10 gennaio 1848, una deputazione d’Israeliti si recava a ringraziarlo, e gli leggeva un indirizzo, che fu pubblicato nel giornale romano La Speranza (num. 10), e nel quale, tra l’altre cose, era detto: “Fra le grazie ai nostri fratelli nel fuggito anno dalla Santità Vostra impartite, rifulge quella ben consolante e caritatevole, e che per ogni dove risuonò gradita, dell’abolito doloroso atto di vassallaggio, che un dì prestavasi sulla Vetta Capitolina, e dell’abrogata contribuzione. I nostri correligionari d’ogni Stato ne esultarono, e seco noi benedirono il già adorato Vostro Nome.,, E, per questo rispetto, possiamo benedirlo anche noi.]

S. P. Q. R.

     Quell’esse, pe, ccu, erre, inarberate1
Sur portone de guasi oggni palazzo,
Quelle so’ cquattro lettere der c....,
Che nun vònno dì ggnente compitate.

     M’aricordo però cche dda regazzo,
Cuanno leggevo a fforza de frustate,
Me le trovavo sempre appiccicate
Drent’in dell’abbeccé ttutte in un mazzo.

     Un giorno arfine me te venne l’estro
De dimannànne2 un po’ la spiegazzione
A ddon Furgenzio ch’era er mi’ maestro.

     Ecco che mm’arispose don Furgenzio:
“Ste lettre vònno dì, ssor zomarone,
Soli preti qui rreggneno: e ssilenzio.„

Roma, 4 maggio 1833.


  1. [Inalberate; innalzate.]
  2. Dimandarne.