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Pagina:Sonetti romaneschi IV.djvu/206

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196 Sonetti del 1835

L’USCELLETTI DE RAZZA.

     Doppo ch’er gatto tuo diede la fuga
Ar mi’ cardello, la madre Vicaria
M’arigalò un canario e una canaria,
Ggialli come du’ cicci1 de lattuga.

     Quanti so’2 ccari! Lei sciangotta,3 ruga,4
Spizzica5 er becco ar maschio, e cce se svaria;6
E questo canta, quanno sente l’aria,
Come er fischietto a acqua che sse suga.

     Mo la femmina ar nido ha ffatto l’ova,
E cquanno va a mmaggnà la canipuccia,7
Presto vola er marito e jje le cova.

     Si8 ttu vvedi la femmina, coll’ale
Mezz’aperte covanno in quela cuccia,
Pare un Papa in zedione cór piviale.

30 aprile 1835.

  1. Ciccio dicesi quel fascetto di foglie più tenere che sono come l’anima dell’erbe fatte crescere legate. [A Firenze, grumolo; a Pistoja, cimolo; in qualche luogo dell’Umbria, cacchietto; ecc.]
  2. Quanto sono.
  3. Ciangottare: emetter suono di voce poco articolata e distinta.
  4. Rugare: garrire con una specie di stizza.
  5. Bezzica.
  6. Ci si diverte.
  7. [Il seme della canapa, che si dà appunto a mangiare a’ canarini e ad altri uccelli.]
  8. Se.