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Pagina:Sonetti romaneschi IV.djvu/290

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280 Sonetti del 1835

MADAMA LETTIZZIA

     Che ffa la madre de quer gran colosso
Che ppotava il Re cco la serecchia?
Campa de cunzumè, nnun butta un grosso,
Disce uì e nnepà,1 sputa e sse specchia.2

     Sta ssopr’a un canapè, ppovera vecchia,
Impresciuttita llì ppeggio d’un osso;
E ha ppiù ccarne sto gatto in d’un’orecchia
Che ttutta quella che llei porta addosso.

     A ccolori è er ritratto d’un cocommero
Sano: un stinco je bbatte co’ un ginocchio;3
E ppe’ la vita è ddiventata un gnommero.4

     Cala oggni ggiorno e vva sfumanno a occhio.
Semo all’Ammèn-gesù: ssemo a lo sgommero:5
Semo all’ùrtimo conto cór facocchio.6

8 settembre 1835

  1. Credono i popolani nostri che il no de’ Francesi sia nepà.
  2. Si specchia. E realmente Mad. Letizia continuamente specchiavasi. Quanti motivi potevano trarla a quest’uso!
  3. Dopo una caduta, rimase con una gamba rattratta.
  4. Un gomitolo.
  5. Siamo allo sgombro, siamo all’amen: è finita.
  6. Pel cocchio che doveva funeralmente portarla al sepolcro.