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Pagina:Sonetti romaneschi IV.djvu/371

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Sonetti del 1835 361

LA VISTA CURTA.

     Come sta, Nnino,[1] la commar Celeste? —
Pe stà[2] sta bbene, ma cquell’occhi cani
J’hanno tanto infarzito,[3] sor Oreste,
Che mmanco ariconossce li cristiani.[4]

     V’abbasti a ddì cche prima de ste feste,
Un giorno sott’all’Arco de Pantani,[5]
Pijjò un par de somari co’ le sceste[6]
Pe’ ’na coppia de frati francescani. —

     Ma mme dichi davero o mme canzoni? —
È vvangelio: du’ asini bbadiali[7]
Li bbattezzò ppe’ ffrati bbelli e bboni. —

     Dunque, o all’occhi nun cià[8] ttutti sti mali,
O cquer giorno che vvedde[9] li torzoni,[10]
Lei guardava le cose co’ l’occhiali.

10 ottobre 1835.

  1. [V. la nota 6 del sonetto: Er disinterresse, 10 genn. 35.]
  2. Per istare.
  3. [Gli hanno tanto infalsito: le sono diventati così falsi, così guasti.]
  4. Cristiani, vuol dire: “uomini.„
  5. [L’arco che si apre in quel maraviglioso muraglione che probabilmente formava il recinto del Foro d’Augusto. È detto dei Pantani, per le pozzanghere che v’erano intorno, prima che Paolo V ne rialzasse il livello.]
  6. Ceste.
  7. Tanto-fatti, grandi e grossi.
  8. Non ci ha.
  9. Vide.
  10. [Torzone (da torzo, torsolo), a Roma come a Firenze significa propriamente: “frate converso.„ Ma qui, in senso di spregio, sta per “frate in generale.„]