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110 Sonetti del 1837

LI CANI D'UN PRETE

     “E ste ggioie de cani ve tenete?
E annate„,1 dico, “a ccaccia co’ st’attrezzi?
Che vve ponno affermà2 sti cascappezzi
’na tartaruca ar più ssotto le rete?„

     “Eppuro questi„, m’arispose er prete,
“sti du’ caggnacci cqui, nnun ce sò3 pprezzi
Che li ponno pagà, pperchè ssò4 avvezzi
A nnun straccasse mai pe’ ffame o ssete.

     Eppoi, sibbè5 rroggnosi o cche sse sia„,
Disce, “nun troverai cani in eterno
Da potejje6 stà appetto a ppulizzia.„

     Dico: “Eh cquann’è ppe’ ppulizzia, don Tale,7
     Mannateli a l’uffizzi der Governo,
Du’ cani ppiù ddua meno è ppoco male.„

28 maggio 1837

  1. Andate.
  2. Fermare.
  3. Sono.
  4. Sono.
  5. Sebbene.
  6. Potergli, per “poter loro.„
  7. Appellazione generica di persona della quale non si conosca o non vogliasi declinare il nome.