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Pagina:Sonetti romaneschi V.djvu/244

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234 Sonetti del 1844


LI CASOTTI NOVI.

2.

     Fatt’è cche mmartedì, ssor Checco Piave,1
A la porta dell’urtimo casotto
(Che nnun zo’ ddì pperché, ffra ttutt’e otto
Era rimasto sfitto e cchius’a cchiave)

     Attaccato de sott’a l’architrave
Sce fu ttrovo ’na spesce de strammotto
Da pagasse coll’ojjo der cazzotto,
E ddisceva accusì: Vvero Concrave.

     A mmé mme pare una cojjoneria.
Cosa sc’entra er Concrave ar paragone
Cór casotto de Pasqua-bbefania?

     Cqua cce so’ li pupazzi, in concrusione,
E llà li Cardinali, in compaggnia
De tant’antre bbravissime perzone.

19 dicembre 1844.


  1. [Francesco Maria Piave, il noto librettista. Era amico del Belli, e, ogni volta che passava di notte sotto le sue finestre, per salutarlo e farlo ridere, intonava con una nenia corale, ch’egli stesso vi aveva adattata, quattro versi, scritti da un giumento di Pindo, quando tutta Napoli si univa ai voti di Carlo III di Borbone, che desiderava ardentemente un erede del trono. Il Belli medesimo racconta il fatto in una nota a un sonetto italiano inedito, diretto al Piave nel 1838, e cita i quattro versi, che meritano di non andar perduti:

    Gennaro santo di città Pozzuoli,
    Sparso sangue, martirio in caraffella,
    Noi ti preghiamo con devoto inchiostro,
    Dà un segno di gravidanza a Sua Maestà Carlo terzo re nostro.]