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Pagina:Sonetti romaneschi V.djvu/82

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72 Sonetti del 1837

ER COMPOSITORE DE LA STAMPARIA.

     Grazzie, n’avemo trenta, è er fin der mese:
Lo so, ssì, è er giorno c’ha da usscì er giornale.
E ssi1 nun essce? è ppeccato mortale?
Fina er monno? subbisseno le cchiese?

     Sì vve2 state a pijjà ttutte ste sscese
De capo,3 finirete a lo spedale.
Un giorno ppiù, uno meno, è ppoco male.
Tutte quante le smanie a sto paese!

     Mica è ppoi pane: mica è ggran4 che ccasca.
Oggi o ddomani nun fa ppreggiudizzio:
Nun zo’5 ccose che ppassino bburrasca.

     Er giornale se lega6 ar fin dell’anno:
Dunque... Ebbè, ss’oggi vengheno a l’uffizzio,
Lassateli venì: cce torneranno.

3 marzo 1837.

  1. Se.
  2. Se vi.
  3. Affanni, pensieri, sollecitudini.
  4. Grano. In questa frase il popolo usa veramente l’apocope da noi adoperata. In generale ripeteremo che tutto quanto si legge ne’ versi del 996 [cioè: “di giuseppe gioacchino belli„ — V. la nota 1 del sonetto: La curiosità, 9 dic. 32.] è della schietta prosa de’ Romaneschi.
  5. Non sono.
  6. Si lega.