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Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/201

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Sonetti del 1832 191

LA DISPENZA DER MADRIMONIO.

     Cuella stradaccia[1] mé la so’ llograta:
Ma cquanti-passi me sce fussi fatto,
Nun c’era da ottené pe’ ggnisun patto
De potémme sposà cco’ mmi’ cuggnata.

     Io sc’ero diventato mezzo matto,
Perché, ddico, ch’edè sta bbaggianata[2]
Ch’una sorella l’ho d’avé assaggiata
E ll’antra nò! nnun è ll’istesso piatto?

     Finarmente una sera l’abbataccio
Me disse: “Fijjo, si cc’è stata coppola,[3]
Pròvelo, e la liscenza té la faccio.„ —

     “Benissimo Eccellenza,„ io j’arisposi:
Poi curzi a ccasa, e, ppe’ nun dì una stròppola,[4]
M’incoppolai Presseda, e ssémo spósi.

Roma, 20 dicembre 1832.

  1. La via detta degli Uffici del Vicario, dove sono notai e altri incaricati in cose matrimoniali e di costume pubblico. [V. in questo volume la nota 1 del sonetto: Er giudisce, ecc., 26 genn. 32.]
  2. Ridicolezza a cui si dia importanza.
  3. Copula.
  4. Menzogna ufficiosa.