Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/279

Da Wikisource.

Sonetti del 1834 269

ER BELLO È CQUER CHE PPIASCE.

     A llui je piasce quella e sse la fotte.
Lo sputà ssu li gusti1 è da granelli.2
Nun ze3 paga pe’ vvede4 le marmotte?
Tante teste, se sa, ttanti scervelli.

     Quanno sortanto li gruggnetti bbelli
Trovassino5 marito, bbona notte.
Disce il proverbio: Si6 ttutti l’uscelli
Conoscessino7 er grano, addio paggnotte.

     È ttanta bbuggiarona vostra fijja,
Eppuro, eccolo llì, ggià ss’è ttrovato
Er ziconno8 cojjon che sse la pijja.

     Questo sia pe’ nnun detto. Io v’ho pportato
Sto paragone cqua, ssora Scescijja,9
Pe’ spiegà ccome er monno è acconcertato.

20 gennaio 1835

  1. De gustibus non est disputandum.
  2. Minchioni.
  3. Non si.
  4. Per vedere.
  5. Trovassero.
  6. Se.
  7. Conoscessero.
  8. Secondo.
  9. Cecilia.