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Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/319

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Er còllera mòribbus 309


3.

     Oh annàteve a rripone,1 oh state quieti,
Ch’avete torto marcio tutt’e ddua.
Dar tett’in giù,2 sta collera è una bbua3
Che ddà de piccio4 a ssecolari e a ppreti.

     Ha ttempo er Crero a ffà nnovene e asceti
De sette ladri: monziggnor la Grua5
Aricconta ch’a Spaggna, a ccasa sua,
Fu un mascello, e pijjò ttutti li sceti.

     Sapete, sor Olivo e ssor Marchiònne,
Chi, cquanno mai,6 se pò ssarvà7 la pelle?
Sapete chi? vve lo dich’io: le donne.

     Perché a Rroma le donne, o bbelle o bbrutte,
Spesciarmente le vedove e zzitelle,
So’8 amiche de San Rocco guasi tutte.9

6 agosto 1835


  1. Oh andatevi a riporre: andate via ecc.
  2. Umanamente parlando. [L’opposto di dar tett’in zu.]
  3. È un male, è una calamità.
  4. Dà di piglio.
  5. Uno dei deputati della commissione speciale di sanità pel colera.
  6. Al più.
  7. Si può salvare.
  8. Sono.
  9. San Rocco è il nome d’un ospedale di ostetrica. Molte donne vanno ivi a sgravarsi in segreto. Erasi in Roma sparsa opinione che le donne incinte andassero esenti dal contagio colerico.