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Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/325

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Er còllera mòribbus 315

che, come ho già avvertito molte volte, aveva fama di gran Bevitore.]      9 Di ridermene.      10 Non sia.


9.

     Disce:1 sce vò alegria. Sì, ccór un male
Che ffa ’ggni ggiorno discidotto mijja!
Ce poterà stà alegro un cardinale,
Ma nnò un povero padre de famijja.

     Vedesse2 cascà mmorti ar naturale
Mo la mojje, mo un fijjo e mmo una fijja,
Com’è vvero er peccato è un carnovale
D’annacce3 a sbeffeggià cchi sse ne pijja!

     Sarìa4 curioso de sapé, ssi5 Llotte
Lassava fijji immezzo a la Bbettàpoli,6
Si5 ttrincava lui poi tutta la notte.

     Chi la penza da omo è er Re de Napoli,
Che cconzijjato da perzone dotte
7 cche ppe un anno siino tutti scapoli.8

18 agosto 1835


  1. [Dice: dicono.]
  2. Vedersi.
  3. Da andarci.
  4. Sarei.
  5. 5,0 5,1 Se.
  6. [Pentapoli.]
  7. Vuole.
  8. [S' intende che questa era una delle tante chiacchiere provocate dalla paura del morbo. I matrimoni celebrati durante l'anno 1835 nel Regno di Napoli, senza contarci la Sicilia, furono 1285 meno dell'anno precedente, ma tuttavia arrivarono alla bella cifra di 46,525. V. il Diario di Roma del 29 ott. 36.]