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Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/44

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34 Sonetti del 1831

GIUSEPP’ABBREO.

1.

     Certi mercanti, doppo ditto: aéo,1
Se sentìnno2 chiamà ddrento d’un pozzo.
Uno sce curze3 all’orlo cór barbòzzo,4
E vvedde move,5 e intese un piaggnisteo.

     “C....! qui cc’è un pivetto6 pe’ ssan Ggnèo,7
Come un merluzzo a mmollo8 inzino ar gozzo!„
Caleno un zecchio: e ssù, frascico e zzózzo,9
Azzécchesce chi vviè? Ggiusepp’abbreo.

     L’assciutteno a la mejjo cór un panno,
Je muteno carzoni e ccamisciola,10
E ppoi je dànno da spanà,11 jje danno.

     E doppo, in cammio12 de portallo a scola,
Lo vennérno13 in Eggitto in contrabbanno
Pe’ cquattro stracci e un rotolo de sola.

Morrovalle, 7 settembre 1831.


  1. Grido degli Ebrei che comperano robe vecchie.
  2. Si sentirono.
  3. Ci corse.
  4. Col mento.
  5. Vide movere.
  6. Un fanciullo. [Ma è sempre un po’ ironico.]
  7. [È un santo, come san Lumino, san Mucchione, santa Pupa, ecc., inventato dalla plebe, per poterlo bestemmiare impunemente. Nel vecchio dialetto, gnèo (da mieo, per mio, come gnagolare da miagolare, ecc.) significava anche io; ma non l’io comune, bensì l’io orgoglioso e spavaldo. C’è gnèo! Nun avete (abbiate) pavura! Oggi però, in questo senso, è quasi affatto disusato, come il suo sinonimo miòdine, che deriva pure da mio. Cfr. la nota 1 de’ sonetti: Uno mejjo ecc., 27 genn. 32, e Er discissette ecc., 8 genn. 33.]
  8. [Un baccalà in mollo.]
  9. Fradicio e sozzo.
  10. [Giacchetta. Ma si veda la nota 5 del sonetto: La milordarìa, 27 nov. 32.]
  11. Da mangiare.
  12. In cambio.
  13. [Venderono.]