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Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/90

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80 Sonetti del 1831

ER GIOCO DE PISEPPISELLO.

     Io lo farìa co’ tté piseppisello[1]
Colore ccusì bbello e ccusì ffino![2]
In der mejjo però der ritornello,
Me stremisco[3] de quer Zantomartino.[4]

     Perché sto santo ar povero bboccino
Dell’omo je fa un certo ggiucarello,
Che quanno va ppe mméttese er cappello
Nun je carza più un c.... in zur cudino.[5]

     Caso che allora me spuntassi un porro,
Io subbito direbbe: “Bbona sera!,
Ècchesce a la viggija der ciamorro.„[6]

     Te pare arisicamme[7] a sta maggnèra?
Ste mmànnole ppiù ppresto[8] me l’attórro,[9]
Pur ch’er reo nun ze sarvi, ecco le pera.[10]

In legno, da Civitacastellana a Monterosi, 10 ottobre 1831.

  1. Giuoco da fanciulli. [A Roma si fa ordinariamente così: — Più bambini si mettono a sedere in fila con le gambe stese e i piedi pari, mentre uno di loro, il maestro, resta diritto con una bacchetta in mano, e recita la seguente filastrocca, toccando successivamente con la bacchetta, a ogni accento del verso o un po’ a capriccio, un piede de’ suoi compagni, e nell’ultimo verso un piede a ogni parola: Pis’ e ppisello, Colore accusì bello, Colore accusì fino, Per santo Martino, La bella Pulinara Che sale su la scala, La scala der pavone, La penna der piccione, La bella zitella, Che gioca a ppiastrella Cór fijjo der re, Arza su er piede che tocca a té. Il bambino toccato nel piede all’ultima parola, deve ritirarlo; e si ritorna da capo; finchè colui che resta ultimo e solo con un piede in fuori, viene ironicamente applaudito con battimani, o anche fischiato, e gli si cantano in coro queste parole: Tappo de cacatooore, Tappo de cacatooore! Qualche volta invece, specialmente tra bambini di condizione civile, quello il cui piede è toccato all’ultima parola, si alza, cedendo il posto al maestro, e prende lui la bacchetta per rifare il gioco. — Per le varianti e i riscontri delle altre parti d’Italia, può vedersi il Pitrè, Op. cit., pag. 37-39 e 232-39.]
  2. Parole che si profferiscono con altre, in quel giuoco. [V. la nota 1.]
  3. [Rabbrividisco.]
  4. [San Martino, che è nominato nella filastrocca del pis’ e ppisello, passa a Roma e altrove per il santo de’ Menelai.]
  5. [Quando questo sonetto fu scritto, molti romani portavano ancora scarpe con fibbie, calze nere, calzoni corti, abito corto a coda di rondine, tuba bassa e codino. E ogni volta che ne moriva uno, la gente contava i rimasti, e diceva: Son trenta, son ventinove, ecc. L’ultimo fu un certo Gnecco benestante, che viveva ancora al principio del pontificato di Pio IX.]
  6. [Cimurro.]
  7. [Ti pare ch’io possa] arrischiarmi.
  8. Piuttosto.
  9. Mandorle attorrate: abbrustolite, cioè, poi conciate con zucchero.
  10. [Parodia del noto verso della Gerusalemme, II, 12: “Purchè ’l reo non si salvi, il giusto pera.„]