Pagina:Sotto il velame.djvu/301

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le rovine e il gran veglio 279

sa trovare il corno sul gran petto, e parla un linguaggio che non s’intende, e non intende alcun linguaggio che gli si parli. Questo difetto del linguaggio non ha Anteo, il quale ama, nel tempo stesso, la lode. È chiaro dunque che anche i dannati che sono al piede dei giganti, il non parlare e il non amar fama l’hanno per castigo o per contrasto a ciò che nel loro peccato fu inordinazione della mente. Il che s’è veduto in Vanni Fucci, che si dipinse di trista vergogna perchè anche con la mente peccò, e non con solo l’animo e la volontà. Possiamo dunque conchiudere che maggiore fu nei peccati l’inordinazione nella mente, e più grave è, in Malebolge e nella Ghiaccia, la vergogna del fallo e l’orror per la fama. Dico la vergogna del fallo: in vero Ulisse risponde a Virgilio, perchè questi ha dichiarato prima, che lo interrogherà su tutt’altro; e Guido risponde anche sul fallo suo proprio, perchè crede che chi lo interroga, sia morto. E così il Conte Ugolino si sente chiedere non la sua pecca, ma quella del traditore che rode;1 e perciò risponde, e dice subito il suo nome, che è necessario dire se si vuol procacciare infamia all’altro. Nel che è da osservare che il non essere i pessimi dà a questi dannati coraggio di palesarsi; come è il fatto di Camicion de’ Pazzi e di tanti di Malebolge.

Più grande è dunque l’inordinazione dell’intelletto, più grave è la vergogna e l’ostinazione a nascondersi. Bene: ma perchè Farinata e Cavalcante non mostrano vergogna? In tanto posso dire, che il loro nome non dicono essi; sì, dell’uno, Virgilio lo

  1. Inf. XXXII 137.