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l’altro viaggio 333

medesima favilla? Come quegli che “piaggia„ non può avere avuto il desiderio di soprastare a tutti? Come, anzi, non ognuno che tema di perdere il proprio in confronto d’un altro, ha questo desiderio? Soprastare a ognuno via via, come non è il desiderio di soprastare, in fin fine, a tutti?

Ma questo è appunto il pensiero di Dante, quando chiama superbia la violenza di Capaneo, quando chiama superbo il fraudolento: il pensiero che ci sia nella violenza e nella frode quella favilla, quella passione. E di più, mostra che ci sia anche nei peccatori dello Stige, quando dice orgogliosa la persona di Filippo Argenti; con questo che orgoglio non è proprio superbia; ma un che di tronfio e di vano: il tubare dispettoso del colombo a confronto del ruggito del leone. Ma, insomma, anche il cavalier Adimari con quella sua grande vita e grande burbanza e molta spesa voleva sopraffar gli altri, sebbene avesse “poca virtude e valore„.1 Invero nel brago c’è, come lo scolaticcio della concupiscenza, così il seme dell’ingiustizia. C’è, senza dubbio, chi spera eccellenza, e c’è chi s’attrista per il timore di perdere il suo, e c’è chi s’attrista per l’onta della ingiuria che non osa vendicare. Non avere fortezza, sì vana audacia e inerte timidità, significa avere quella speranza e quel timore e quella tristizia. Non avere la fortezza, che ausilia la giustizia, vuol dire stare ai piedi della ingiustizia, sia che l’ingiuria si mediti e non si faccia, sia che l’ingiuria non si respinga. E ciò significa essere incontinenti d’ira e nel tempo stesso non rei di malizia. Il lento glutine

  1. Dall’Ottimo.