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346 sotto il velame

vere Dante che pensava: Quella di Filippo Argenti, quella di color cui vinse l’ira, non è ira, non è l’ira proprio peccato; poichè coloro cui vinse l’ira, sono incontinenti; e gl’incontinenti non peccano con la volontà, bensì con l’appetito. Questa considerazione dovrebbe bastare a solvere il nodo. Per quanto il peccato di violenza sia detto “bestialità„, pur non è così bestiale, come quello dei cani e dei porci dello Stige. La violenza è minotauro, centauro, arpia, semifero e semiuomo. L’ira, per il Dottore, anche se è incontinenza, partecipa in qualche modo della ragione, “in quanto l’irato tende a vendicare un’ingiuria a lui fatta, il che in qualche modo è la ragione che detta...„1 Ora, secondo il medesimo, l’incontinenza d’ira, che per certi rispetti è meno turpe che quella di concupiscenza, è però più grave “perchè conduce a cose che pertengono a nuocere al prossimo„. E come dunque il peccato col quale alcuno “per violenza in altrui noccia„, e che non è incontinenza soltanto, perchè è con volontà; non si deve pensare essere questa incontinenza medesima che abbia seguitato il suo andare? Ma sia ira anche questa: sarà ira d’incontinenza o incontinenza d’ira; l’altra, ira di volontà o volontà d’ira. Si dice ira anche di Dio o di uomo il quale “non per passione, ma per giudizio di ragione, infligge la pena„;2e allora è un’ira appartenente all’appetito intellettivo, alla volontà.3 Dante afferma manifestamente che infliggere la pena e “spietati danni„ non per giudizio di ragione, ma per passione, è atto della volontà e non

  1. Summa 2a 2ae 156, 4. Eth. VII 6.
  2. Summa 2a 2ae 158, 8.
  3. ib. 162, 3 e passim.