Pagina:Sotto il velame.djvu/393

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l'altro viaggio 371

di purgatorio. Tanto più che la frode e il tradimento hanno, per la loro somiglianza, lo stesso diavolo per simbolo; ma per il loro divario, la prima il diavolo nella forma che assunse nella sua invidia verso il genere umano, il secondo il diavolo nella sua propria forma di superbo contro Dio.

Ma c’è altro. La superbia è contro Dio e a Dio direttamente s’oppone ed è l’apostatare da lui e il non volersi a lui sottomettere e lo alzar le ciglia contro il sommo bene e il torcere il viso dal bene immutabile. Si dovrebbe dubitare di ciò che superbia fosse la superbia del Purgatorio, più che di ciò che superbia sia il tradimento dell’inferno. Ora si avrebbe torto a dubitare del primo punto; nè solo perchè espressamente il Poeta dice che è superbia, ma perchè la sua definizione non contraddice al concetto di superbia quale è presso tutti i padri e dottori e catechisti. La definizione di Virgilio ha di mira la macchia, ripeto, dell’appetito: la qual macchia è amor del male del prossimo, ossia cupidità, complicato con una speranza di eccellenza. La cupidità si liqua in volontà ingiusta. Si liquò nei peccatori del purgatorio? O sì o no, la reità del volere, la reità d’ingiustizia, è cancellata: o non ci fu o non c’è più. Ma o c’era o poteva ingenerarvisi. E allora? I passi del superbo sono, dice Dante, ritrosi; la via torta; malo il sentiero. Egli si ritrae, cioè, dal bene, da Dio. Così il superbo, specialmente; ma con lui anche l’invido e l’irato. L’accidioso è tristo, infastidito, disanimato: anch’esso sta per voltarsi. Ma per la via torta come cammina il superbo? qual differenza è tra lui e gli altri che vanno per il medesimo mal sentiero? Dante li dichiara, una volta, infermi della