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374 sotto il velame

superbia. Vediamo per l’invidia. Gli esempi sono due: Caino, che ognuno avrebbe ucciso; Aglauro che divenne sasso: un esempio sacro e uno profano;1 e tutti e due d’invidia vera e propria, sebbene il primo sia della più grave forma. Ed è curioso notare che tanto è gravissimo il peccato di Caino, quanto lievissimo quello d’Aglauro, se non s’interpreti misticamente. A ogni modo sono due peccati di invidia. Ora gli esempi dell’ira quali sono?2 L’empiezza di Progne, l’ira di Haman:

               un crocifisso dispettoso e fiero
               nella sua vista, e cotal si morìa:

il suicidio di Amata. E questi sono peccati di ira? Pare. E perchè allora dubitar di chiamare ira l’empiezza di coloro che sono figurati nel Minotauro; la bestialità tipica di coloro che Dante leggeva in Aristotele dilettarsi di carni umane? la contumacia e, se volete, la superbia di Capaneo, che giace dispettoso, come quel crocifisso, e qual fu vivo tale è morto, come quel crocifisso che “cotal si moria„? il disdegnoso gusto di Pier della Vigna, cui l’animo fece commettere un’ingiustizia contro sè giusto, un’irragionevole vendetta, un atto assurdo e di effetto vano e contrario? Come quello d’Amata, che Lavina esprime così:

               Ancisa t’hai per non perder Lavina;
               or m’hai perduta...

  1. Purg. XIV 133, 139.
  2. Purg. XVII 19 segg.