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248 | libro quinto |
ed il nome di Ferdinando venne in abominio di tutti. E ne fu tocco sì vivamente l’animo de’ popoli del Reame, che non v’ebbe persona, la quale non cominciasse a straniarsi dalla casa d’Aragona. Onde il partito angioino andava sordamente rinvigorendosi, e covando i fecondi semi delle future guerre intestine.
Lodovico Sforza Duca di Milano si struggeva di tagliar la radice alla temuta potenza degli Aragonesi di Napoli, che già avendo gravemente minacciato lo Stato pontificio, e le Repubbliche di Firenze e di Venezia, aspiravano di allargare il loro dominio, e preponderare su gli altri Stati d’Italia. Andava perciò insinuando a Carlo VIII Re di Francia, scendesse alla conquista del reame di Napoli, che a lui si apparteneva per ragion di successione della casa di Angiò. E Carlo che aveva la mente a tale impresa, e n’era assai stimolato dal Principe di Salerno, che dimorava a quella Corte, mise in appresto un potente esercito, e nell’agosto del 1494 penetrò per le Alpi in Italia, e si dirizzò sul reame. Intanto re Ferdinando, vinto più da’ dispiaceri dell’animo, che dall’età, era uscito di vita sin dal gennajo di quello stesso anno, lasciando una trista eredità al figliuolo Alfonso II. Questi prese possesso degli Stati paterni, e n’ebbe la bolla d’investitura da papa Alessandro VI.
II. L’università di Reggio inviò, giusta il consueto, al nuovo Sovrano i sindaci Giorgio Leopardi, e Coletta Malgeri, perchè ottenessero la conferma de’ privilegi. Nè questo solo ottennero, ma ancora:
1.° Che la città per funzioni fiscali, cioè collette, gabelle ed altre imposizioni regie, non dovesse più pagare alla regia Corte ducati mille cinquecento, come faceva per il passato sotto suo padre Ferdinando, ma soli mille, cioè per fuochi seicento sessantasei e due terzi; e che i cinquecento fossero spesi per la rifazione delle mura della città.
2.° Che a vigilar l’andamento della fabbrica delle mura della città fosse eletto da’ cittadini un Credenziero idoneo e sufficiente, ed approvato da’ regi uffiziali.
3.° Che i benefizii della chiesa Metropolitana non avessero a darsi a’ forestieri, ma a’ Canonici, Preti e Chierici cittadini, esortando l’Arcivescovo che de’ benefizi vacanti provvedesse sempre i più benemeriti.
Tornarono a lamentarsi i Reggini che Bertoldo Carafa riteneva per forza ed ingiustamente i beni usurpati nel passato tempo alla Badia de’ Santi Quaranta, ad altre chiese, ed a molti cittadini. Ed il re ordinò al luogotenente della Provincia che, udite le parti sulla