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Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. I, Fibreno, 1857.djvu/336

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annotazioni 311

nem (vuol dire Crotonem) et Rhegium deductae coloniae, deinde Tarentum... et postea Themsani et Ruscianum». Qui però il Vellio confonde i tempi di tali colonie assai grossamente. Reggio, come vedremo, non divenne colonia romana che nell’anno di Roma 712, il che non fu «post multos aniius», ma dopo trecento quarant’anni dalla invasione de’ Galli. E Tempsa ch’egli dice esser divenuta colonia dopo Reggio, era già tale sin dall’anno di Roma 557, cioè anni centocinquantacinque prima di Reggio.


§. VIII. Municipii e Colonie. — Vi erano municipii con suffragio o fundani, e municipii senza suffragio. I primi avevano la pienezza della cittadinanza romana, coll’ascrizione alle tribù, e col diritto di dare i suffragii nella elezione agli uffizii della Repubblica Romana, ma siccome dovevano aver fondo e costituzione sopra talune leggi romane, così erano detti municipii fundani. I municipii senza suffragio godevano dell’intera libertà delle proprie leggi, e si avvicinavano assai alla federazione. De’ municipii e delle colonie Aulo Gellio ci dà una definizione assai precisa: «Municipes erant qui ex aliis civitatibus Romam venissent: quibus non licebat magistratum capere, sed tantum muneris partem. Sed coloniarum alia necessitudo est; non enim veniunt extrinsecus in civitatem, nec suis radicibus nituntur, sed ex civitate quasi propagatae sunt».

Nè senza ragione storica io dissi Reggio municipio senza suffragio; su di che sentiamo il Mazzocchi: «Quia nec Tarentinus, nec Rheginus, nec Neapolitanus populus in romanas leges fundus fieri voluit; hinc hae tres tantum Graecorum urbes post legem Juliam municipia sine suffragia ut etiam ante fuerant, et cura autonomia sua (quam piene civitati Romanae praetulere) remanserunt. Hac, inquam, tres tantum in barbariem non defecerunt, quia ab hellenicis moribus (praeter quos Graecis nihil non barbarum habebatur) non desciverunt».


§. IX. Penisola Reggina. — È opinione del nostro Logoteta (Tempio d’Iside e Serapide) che la penisola Reggina, di cui parla Plutarco nella vita di Crasso, debba corrispondere a quella punta di Calamizzi che fu assorbita dal mare nel secolo XVI. Ma quel tratto sarebbe stato troppo angusto, e se Crasso fosse giunto a stringere Spartaco così da presso, l’avrebbe avuto assai agevolmente fra le mani senza bisogno di chiuderlo con quella muraglia. Dall’altra parte non mi pare credibile che un lavoro così ardito abbia potuto in così breve tempo eseguirsi per la lunghezza di trentasei miglia dal golfo Scillaceo al Lametico. E se tale opera fosse stata effettivamente costrutta può egli credersi che il tempo non ne avrebbe tramandata alcuna traccia materiale che ne facesse testimonio a’ tempi avvenire? Io propendo a credere esagerata e poco esatta la narrazione di Plutarco.


§. X. Prima venuta di Cicerone in Reggio. — Che Cicerone, quando la persecuzione di Clodio il fece uscir di Roma, fosse venuto a Reggio, apparisce da una sua lettera ad Attico. Nella quale dopo di avergli descritto il viaggio da lui fatto sino a Vibone, continua così: «Putabam cum Rhegium venissem fare ut illic (longam navigationem molientes) cogitaremus corbita ne Patres an actuariolis ad Leucopetram Tarentinorum (Capo Leu-