Pagina:Specchio di vera penitenza.djvu/73

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distinzione terza. - cap. ii. 45

sudore, e forò la mano dall’uno lato all’altro con molto dolore e pena, come fosse stata una saetta focosa et aguta. Ora hai il saggio delle pene dello ’nferno, disse lo scolaro; e urlando con dolorosi guai, sparì. Il maestro rimase con grande afflizione e tormento per la mano forata e arsa; né mai si trovò medicina che quella piaga guarisse, ma infino alla morte rimase così forata: donde molti presono utile ammaestramento di correzione. E ’l maestro compunto, tra per la paurosa visione e per lo duolo, temendo di non andare a quelle orribili pene delle quali avea il saggio, diliberò d’abbandonare la squola e ’l mondo. Onde in questo pensiero fece due versi, i quali, entrando la mattina vegnente in isquola, davanti a’ suoi iscolari, dicendo la visione e mostrando la mano forata e arsa, ispose e disse:

Linquo coa ranis, era corvis vanaque vanis;
Ad loycam pergo, quoe mortis non timet ergo:

Io lascio alle rane il gracidare e a’ corvi il crocitare, e le cose vane del mondo agli uomini vani: e io me ne vado a tale loica, che non teme la conclusione della morte: cioè alla santa Religione. E così abandonando ogni cosa, si fece religioso, santamente vivendo in sino alla morte. E se si trovasse alcuno che dicesse: Io non farò penitenzia nella vita mia, ma alla fine mi penterò e andrò a fare penitenzia nel purgatoro; istolto sarebbe questo detto: chè, come è detto di sopra, non ogni persona che crede fare buona fine, la fa; anzi molti ne rimangono ingannati, però che, comunemente e il più delle volte, come l’uomo vive, così muore; e, come dice san Gregorio: che, per giusto giudicio di Dio, l’uomo peccatore morendo dimentica sé medesimo, il quale vivendo dimenticò Iddio. Ma pogniamo che l’uomo fosse certo di pentersi alla fine; che sciocchezza sarebbe a volere anzi andare alle pene del purgatorio, delle quali dice santo Agostino che avanzano ogni pena che sostenere si possa in questa vita,