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Il cielo era ancora scuro; solo verso oriente si stendeva una striscia biancastra. Carlo guardò un momento quello splendore, ravviò alla meglio i suoi abiti scomposti, e s’incamminò verso la cittá. La strada era deserta, solo di quando in quando qualche carretta di contadini che si recavano al mercato, carichi di frutte o di erbaggi, o alcune povere donne che vi andavano a piedi con gravi ceste sulle spalle, interrompevano quella solitudine. In cittá le vie erano ancora illuminate dal gaz. Alcuni bugigattoli che sembravano portar con orgoglio insegne di caffè, brulicavano di gente di varie classi e di varie età. Carlo andava a passi lenti e a capo basso. Il portiere dell’albergo lo guardò stranamente vedendolo rientrare a quell’ora. Egli non se ne accorse; andò nella sua camera e si gettò sul letto. Dormí alcune ore d’un sonno agitato; alle dieci si alzò, si vestì con cura per nascondere il disordine interno, e uscí per le mille incumbenze che aveva. Non riposò un momento in tutto il giorno, la fatica lo ubbriaca va, e lo toglieva a se stesso: unico sollievo della sua disperazione. A mezzanotte rientrò e gli sovvenne che non aveva desinato. Uno strano sorriso errò sulle sue labbra. Mangiò un boccone e si coricò, sperando che avrebbe dormito fino all’ora della posta, e che Bianca gli avrebbe scritto.