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nell’ingranaggio 153

volta imprevedutamente, anche in una sala piena di persone che discorrono.

Tutti i vicini si voltarono verso quella parte; fra questi pure il padron di casa.

Vi fu un momento di stupore. Quello che aveva parlato così, forse non credendo di essere udito altro che da un amico, era un vecchietto sottile, ma forte, muscoloso, dai folti capelli grigi, dagli occhi vivi: il conte Vimercati.

Giovanni gli si accostò sorridendo.

— Era per me, che tenevi pronto il tuo revolver? — domandò.

Il conte esitò un istante, indi subito:

— No, no, amico mio! non per te, — disse, e fissandolo col suo sguardo penetrante: — per quel cane che hai lasciato fuggirei Giovanni aggrottò le sopracciglia, e nei suoi occhi, fissi in quelli del suo amico, passò un lampo. Ma egli senti il pericolo a cui andava incentro, senti la curiosità che si sollevava intorno a lui, come il marinaio esperto sente il vento che si leva in lontano.

— Bravo! — esclamò ridendo: — tu sei sempre il più ardente e il più giovine! Io però, vedi, penso che per certi cani si trova sempre un qualche accalappiatore, che ci risparmia l’incomodo di scannarli con le nostre mani.

Si rise, e tutti gli astanti approvarono questa uscita, e la trovarono arguta.

Il motto fu ripetuto, passò di gruppo in gruppo, e il successo serio dell’uomo d’affari fu raddoppiato dal successo brillante dell’uomo di spirito.

Intanto egli si sovvenne di essere già in ritardo verso le signore, che doveva complimentare. Si