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nell’ingranaggio 187


Dovevano essere tutti levati nella casa, e tutti in movimento, Un bisbiglio di voci veniva dalla cucina: si sentiva lo stropiccio dei piedi sulle pietre; aprire e chiudere con precipitazione l’uscio in fondo al corridoio. Si faceva un silenzio. Poi un altro uscio più lontano veniva aperto e una voce, ignota a lei, chiamava il domestico.

Accese il lume e guardò l’orologio: erano le tre e dieci minuti. Si vesti in fretta, e innanzi tutto passò nella camera di Lea. La bimba dormiva tranquillamente col suo bel visino roseo piegato sulla palma destra.

Nessun pericolo minacciava il lettino bianco della innocenza.

Tornata nella sua camera, ella apri l’uscio che metteva sul corridoio. Vide Marco il domestico che lo attraversava con un lume in mano. Lo chiamò per interrogarlo, ma egli non glie ne lasciò il tempo.

— Oh signorina! — esclamò appena la vide: — il padrone è ammalato, molto ammalato! Ha avuto poco fa uno svenimento, sono stato a chiamare il medico! ora devo correre alla farmacia per la seconda volta.

E il buon uomo, ignaro del colpo che aveva portato al suo cuore, s’allontanava rapidamente pensando che aveva già perso mezzo minuto. Ma mentre deponeva il lume sur una tavola dell’anticamera gli parve di sentire un gemito.

Alzò gli occhi; e vide la fanciulla che lo aveva seguito, pallida come una morta e barcollante.

— Ah! mio Dio! — esclamò correndo verso di lei per sostenerla: — che bestia sono! la ho spaventata!