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nell’ingranaggio 253

le davano noja. Era troppo moderna per non intendere il potere di questi grandi fattori della nostra esistenza: amava troppo istintivamente il lusso e la eleganza per non amare anche l’attività che ce li procura. Una vita di lavoro, unita a lui, con una splendida meta di ambizione davanti agli occhi, avrebbe animato tutte le sue forze intellettuali, accesa la sua fantasia. Ma fin che Edvige esisteva, tutto ciò era inutile per lei, anzi, l’ambizione, gli affari, non erano che tanti ostacoli di più messi fra i suoi desideri e la realtà, fra lei e l’amor suo.

Quella donna ch’egli non amava, era sempre la moglie, era sempre la madre nella famiglia, la padrona nella casa.

Ella gli sarebbe andata incontro alla stazione con Lea e gli amici; sarebbero montati nella stessa carrozza, avrebbero parlato delle cose che li interessavano tutti e due, su cui si posava il loro avvenire, avvenire purificato dalla presenza di Lea. A casa, lei sarebbe stata piena di premure, non avrebbe fatto alcuna allusione pungente, e lui non avrebbe potuto a meno di essere cortese, di trattarla da gentiluomo.

Così a poco a poco, nella intimità positiva della casa, in mezzo ai ricordi di una intimità più dolce, le memorie dolorose si sarebbero assopite: a poco a poco si sarebbero avvicinati, e... forse, come aveva detto la Sabina così brutalmente, avrebbero rifatta la pace.

La pace!... Vale a dire che Edvige sarebbe tornata sua moglie di fatto, e che lui si sarebbe diviso fra l’una e l’altra.

Oh, la implacabile gelosia che le rodeva il cuore!