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Io mi sentivo rinascere.
Lina si svegliò: ci guardò: guardò il sole; e sorrise.
— Il babbo sta meglio, eh? — domandò ingenuamente.
— Speriamo! — sospirò la mamma.
La speranza era in noi.
Alla stazione di Torino nessuno ci aspettava. Parve un buon segno. Erano intorno a lui gli amici! Si prese un legno chiuso. Ci si fece condurre alla casa dov’egli abitava.
Ah! la prima persona in cui c’imbattemmo — uno scultore nostro amico — troncò con uno sguardo tutte le nostre speranze.
Gli fummo addosso affannate. Che cosa era successo? Stava meglio, vero? Dicesse qualche cosa!
Rimase muto: era tanto commosso che non poteva parlare.
La mamma non pronunziò la parola terribile che errava sulle sue labbra, e schizzava dai suoi occhi. Indovinai che taceva per una sorte di terrore superstizioso.
A un tratto ci voltò le spalle e si gettò correndo dentro la casa, nelle stanze a terreno che il babbo occupava. Prima che la raggiungessimo un urlo disperato ci agghiacciò.
Ah! quell’urlo! Non lo dimenticherò finchè vivo.