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CLXXXIII

Lasci i suoi colli, e stia con lei, prima di andar lontano.

     Deh consolate il cor co’ vostri rai
questo almen poco spazio, che m’avanza
de la vostra vicina lontananza,
ch’io non vedrò con gli occhi asciutti mai.
     Lasciate i vostri amati colli e gai,
a voi sí cara e a me nemica stanza,
colli, c’hanno imparato per usanza
a farmi oltraggio sí sovente omai.
     Giá senza voi non fia manco fiorita
la chioma de’ bei colli, dov’io forsi
resterò, senza voi, senza la vita.
     Che cosa è, conte, a la pietate opporsi,
se non negare a chi dimanda aita
i suoi pietosi, i suoi dolci soccorsi?


CLXXXIV

Non ha piú rime da celebrarlo.

     Io non trovo piú rime, onde piú possa
lodar vostra beltá, vostro valore,
e contare i tormenti del mio core;
sí cresce a quelli e a me manca la possa.
     E, quasi fiamma che sia dentro mossa,
e non possa sfogar l’incendio fore,
questo interno disio cresce ’l dolore,
e mi consuma le midolle e l’ossa;
     sí che fra tutti i beni e tutti i mali,
ch’Amor suol dar, io ho questo vantaggio,
che quanti sien ridir non posso, e quali.
     Dunque, o tu, vivo mio lucente raggio,
dammi vigore, o tu dammi, Amor, l’ali,
ch’io saglia a mostrar fuor quel che ’n cor aggio.