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CLXXXVII

Se gli dicesse tutta la sua passione, egli non l’abbandonerebbe.

     Se gran temenza non tenesse a freno
la mia lingua bramosa e ’l mio disio,
sí ch’io potessi dire al signor mio
come amando e temendo io vengo meno,
     io spererei che quel di grazie pieno
viso leggiadro, onde tutt’altro oblio,
quant’è ’l mio stato travagliato e rio,
tanto lo fesse un dí chiaro e sereno;
     e quello, onde m’avinse e strinse, nodo
non cercherebbe, lassa, di slegarlo,
allor che piú credea che fosse sodo.
     Ma per troppo timor non oso farlo:
cosí dentro al mio cor mi struggo e rodo,
e sol con meco e con Amor ne parlo.


CLXXXVIII

Timori e speranze.

     Quasi vago e purpureo giacinto,
che ’n verde prato, in piaggia aprica e lieta,
crescendo ai raggi del piú bel pianeta,
che lo mantien degli onor suoi dipinto,
     subito torna languidetto e vinto,
sí che mai non si vide tanta pièta,
se di veder gli usati rai gli vieta
nube, che ’l sol abbia coperto e cinto;
     tal la mia speme, ch’ognor s’erge e cresce,
dinanzi a’ rai de la beltá infinita,
onde ogni sua virtute e vigor esce.
     Ma la ritorna poi fiacca e smarrita
oscura téma, che con lei si mesce,
che la sua luce tosto fia sparita.