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Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/168

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CCLXXXIII

Forse allo stesso.

     S’io non avessi al cor giá fatto un callo
e patteggiato dentro col pensiero
non dar piú luogo al despietato arciero,
mal trattata da lui quanto egli sallo;
     di farmi entrar ne l’amoroso ballo
novamente, e piú crudo che ’l primiero,
per farmi uscir dal mio preso sentiero
e commetter del primo un maggior fallo,
     avrian forza i vostr’occhi e quel cortese
atto e tante altre grazie e la beltade,
onde natura a farsi onor intese.
     Ma, per aver di me giusta pietade,
tanto ho di voi, non piú, le voglie accese,
quanto permette onor ed onestade.


CCLXXXIV

Ad un poeta incerto.

     — Pastor, che d’Adria il fortunato seno
di tanti onori e tanti pregi ornate,
e de le rive sue chiare e pregiate
avete omai, cantando, il mondo pieno;
     pastor, ch’alto saper chiudete in seno
ne la piú verde e piú fiorita etate,
e, da radici uscendo alte e lodate,
fate col canto il ciel fosco e sereno,
     deh potess’io del vostro almo splendore
venir in parte e di quei chiari effetti,
ché non temerei morte o tempo oscuro. —
     Cosí, lodando il suo saggio pastore,
Anassilla dicea, di dolci aspetti
ripieno il cielo, a l’aer chiaro e puro.