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Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/201

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i - rime di diversi 195


XVI

Dello stesso.

     Stampa, tu pur da noi sei spenta e morta,
anzi viva nel ciel, noi morti in terra,
e dolce pace v’hai d’acerba guerra,
ch’il mondo reo sempre a’ migliori apporta.
     Di lagrime la guancia umida e smorta,
dal tuo sparir gran duol la gente afferra;
ma sol il mio cor piagne e si sconforta,
ché quel, ch’a te s’aperse, a me si serra.
     Tu contempli il Signor in paradiso,
e cogli angioli canti a prova insieme
l’alma beltá del volto eterno e santo:
     io l’ombre sue mirando in mortal viso,
pien di ciechi desir, di vana speme,
vommene quasi ognor spargendo pianto.


XVII

Dello stesso.

     Ahi, come tosto sei, Stampa gentile,
dal grave peso tuo scarca e leggiera!
Cangiata è in verno a noi la primavera,
e in tristo pianto il nostro lieto stile.
     Omai comincia il mondo esserne a vile
senza il tuo sol, che dolce scorta n’era
a poggiar per la via d’onore altera,
giá per l’occaso tuo bassa ed umíle.
     Adria ne piagne, e tanto è afflitta e mesta,
quanto la Brenta pianse, allor che Morte
al frate tuo squarciò l’umana vesta.
     O troppo dura e dispietata sorte,
che sien sí ratto, in quella parte e in questa,
stampe di tal virtú perdute e morte!