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260 veronica franco

     100E, se l’ordine a me mutar non lece,
s’a disfar o corregger quel non viene,
ch’o ben o mal una volta il ciel fece.
     103posso bramar che chi cinta mi tiene
d’indegno laccio in libertá mi renda,
si ch’io mi doni a voi, come conviene:
     106ma, ch’altro in ciò fuor del desir io spenda,
e questo ancor con non picciola noia,
non è che piú da voi, signor, s’attenda.
     109Ben sarebbe compita la mia gioia,
s’io potessi cangiar nel vostro amore
quel ch’io altrui con diletto m’annoia.
     112A voi darei di buona voglia il core,
e, dandol, crederei riguadagnarlo
nel merito del vostro alto valore:
     115cosi verrei d’altrui mani empie a trarlo,
e in luogo di conforto e di salute
aventurosamente a ben locarlo.
     118Anch’io so quanto vai vostra virtute,
e de le rare eccellenti vostr’opre
molte sono da me state vedute.
     121Chiaro il vostro valor mi si discopre,
e s’io non vengo a dargli ricompensa,
Amor non vuol che tanto ben adopre.
     124Com’io’l potessi far, da me si pensa;
e, se, dov’al desio manca il potere,
il buon animo i inerti ricompensa,
     127che v’acquetiate meco è ben dovere:
forse ch’a tempo di miglior ventura
ve ne farò buon effetto vedere.
     130Tra tanto Tesser certo di mia cura
conforto sia, ch’ai vostro dolor giovi,
e mi faccia stimar da voi non dura,
     133fin che libera un giorno io mi ritrovi.