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Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/271

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i - terze rime 265

     25con giudicio amorevole e discreto
tanto stimai ’l tuo amor senza misura,
quanto piú al mio voler fosti indiscreto:
     28e, di te preso alcuna dolce cura,
bench’a me tu temprasti amaro fele
col tuo servirmi, in ciò non ti fui dura;
     31e, per te non avendo in bocca il mele
di quell’affetto, ch’entro ’l sen raccoglio,
che in altrui prò convien che si rivele,
     34liberamente, conte teco soglio,
ti raccontai ch’altrove erano intenti
i miei spirti; e mostraiti il mio cordoglio.
     37Or, perché teco ad un non mi tormenti,
tentando invan ch’a mio gran danno io sia
pietosa a te, con tuoi dogliosi accenti,
     40da te parònimi; e, non potendo pia
esserti, almen veridica t’apparvi:
non rea, qual da te titol mi si dia.
     43Quanto è ’l peggio talvolta il palesarvi,
effetti d’alma di pietate ingombra,
dov’altri soglia male interpretarvi!
     46Benché, se vaneggiando erra et adombra
il tuo pettsier, che da ragion si tolse,
seguendo Amor per via di lei disgombra,
     49non però quel, ch’ad util tuo si vòlse
da me, da cui ’l desir tuo si raffrena,
che d’ir al precipizio! piè ti sciolse,
     52a meritar alcun biasmo mi mena;
anzi di quel, ch’aiuto in ciò ti diede,
la mia chiara pietá si rasserena:
     55ché, s’io mossi da te fuggendo’l piede,
fu perché le presenti mie repulse
m’eran de la tua morte espressa fede.
     58E quante volte fu che ti repulse
da sé ’l mio sguardo, o ti mirò con sdegno,
so che ’l gran duol del petto il cor t’evulse.